di Giada Rizzi
Un rischio affligge il comunicatore professionista di oggi: quello di passare dall’essere un venditore di significato ad un piazzista, un semplice venditore di parole.
Quarto speaker sul palco di Inspiring PR, Daniele Chieffi – Social Media Manager di Eni – che decide di affrontare un tema quanto mai attuale e di grandissimo interesse oggi per la formazione di ogni comunicatore professionista.
Quale piega sta prendendo questo mestiere, in un’era in cui significato e significante si trovano ad essere completamente stravolti da tutti, ovunque, in ogni minuto? La rete ha cambiato e cambia ogni giorno il nostro modo di fare informazione, e questo ormai è dato assodato da tempo. Ci si chiede quindi, alla luce di un’innovazione continua che spesso risulta più difficile da seguire che cavalcare (anche per gli addetti ai lavori più esperti), come fare in modo che quel che noi pensiamo, ma soprattutto vogliamo comunicare, arrivi al nostro destinatario correttamente, proprio come noi lo percepiamo e concepiamo nella nostra mente.
“Nel mondo digitale la certezza di avere ancora il completo controllo di ciò che comunichiamo non può più esistere: il potere che avevamo fino a ieri, fino a quando l’unico problema era far uscire un articolo in tempo per non suscitare le ire del caporedattore, oggi crolla, non è più nelle nostre mani. La rete, i social network, ci hanno tolto proprio il controllo sul significato di ciò che raccontiamo. E questo perché la costruzione del significato stesso delle parole che scriviamo, o delle immagini che vediamo, diventa oggi un processo partecipato, collettivo, in cui tutti i nostri stakeholder partecipano al significato di quello che comunichiamo, diventando essi stessi, a loro volta, dei comunicatori, dei creatori di significato.”
Quante volte possiamo effettivamente dire che la percezione di quello che abbiamo comunicato sul web fosse davvero la stessa del nostro utente?
Il procedimento descritto da Chieffi risulta essere molto più complesso: abbandonato il processo lineare, fatto di mittente, messaggio e destinatario (passivo), si innesca un qualcosa di molto più profondo e complesso. Un processo cui troviamo davanti solo la facoltà di dare inizio, senza avere più il potere di guidarlo una volta avviato nella rete, messaggio che “facciamo partire da A senza sapere a quale altra lettera dell’alfabeto arrivi. La compartecipazione di più soggetti alla veicolazione di contenuti fa sì che si parli oggi più propriamente di meta-contenuti: tutto ciò che viene “raccontato” è il risultato dell’astrazione collettiva dei nostri stakeholder”.
Parlare non più ai nostri utenti, ma con i nostri utenti. Un dialogo certamente costruito, senza dubbio, in cui tutte le componenti devono però essere tenute strettamente sotto controllo: immagine, testo, video. Nulla può essere lasciato al caso, o sottovalutato. Così come il contesto in cui il messaggio viene comunicato: è necessario essere a conoscenza, ad esempio, se un tema sia più caldo di un altro, tener conto della cultura, della sensibilità, delle varianti di ogni singolo utente. Tutto ciò che ci circonda può fare in modo che la percezione del nostro messaggio sia alterata. E qui entra in scena il pubblico, un pubblico che non è più spettatore, ma vero coprotagonista: è questa la vera differenza oggi. Il plus quindi che distingue il semplice comunicatore dal vero professionista? Concepire il proprio ruolo non più come esclusivo o elitario ma come vero lavoro dialettico, in quello che si struttura come un confronto tra pari.
“Ciò che ci aiuta davvero a costruire il significato del nostro messaggio è l’interazione: un contenuto che ha zero like o zero condivisioni ha un altro significato rispetto a uno che ha mille like e 100 commenti. Il fatto stesso che il contenuto sia stato condiviso lo fa trasformare in qualcosa di diverso. Ed è proprio questo che noi non possiamo controllare, ma possiamo provare a prevederlo: a questo punto il dialogo con gli stakeholder per noi non è più soltanto un messaggio verso un pubblico, ma soprattutto la comprensione della percezione che il pubblico stesso ha di noi e di quello che diciamo, cercando di capire come quello che stiamo per dire verrà percepito all’esterno.
Comprensione vuol dire ascolto e conoscenza vuol dire capacità di quello che le persone dicono, postano, condividono sulla rete.
Percezione vuol dire anche studio, analisi. Dobbiamo quindi avere come skills professionali necessarie non più solo la capacità di comunicare il contenuto. È necessario andare oltre.”
Se per oltre si intendono skills di psicologia cognitiva, e competenze di sociologia della comunicazione, il bravo comunicatore è costretto a modificare il suo obiettivo, trasformando la sua sindrome del piazzista in conoscenza esperta dell’interazione che si genera con il pubblico. In che modo? Semplice, la tattica ce la insegna la storia, e risiede nella capacità nostra di gestire uno scontro dialettico. In questo contesto il contenuto singolo non è più sufficiente, quello che risulta vincente non è tanto il cosa si dice, ma è molto più rilevante il come lo si dice, aspetto totalmente legato alla conoscenza del nostro utente.
Quanto conosciamo il nostro interlocutore? È lui oggi il nostro vero rivale, lo scacco matto sarà possibile solo se rispetteremo le sue esigenze dando vita ad un dialogo capace di creare valore per lo stesso stakeholder. Solo così potremo non solo vincere, ma soprattutto difendere la nostra reputazione nel web.
È questa la partita più difficile, la sfida più importante: “non siamo più tecnici, ma veri e propri esploratori, con un animo professionale nuovo, persone che lavorano all’interno di quello che si può definire come un vero ecosistema sociale digitale, ecosistema che trova le sue fondamenta nel dialogo, che ci impone di interagire con i nostri vicini e con la loro vita digitale. Se non raccogliamo questa sfida, se non proviamo a vincere questa partita, non potrà esserci nessun tipo di dialogo.”
E allora, sulla scia dell’ispirazione, che la nostra sfida più grande abbia inizio.