Non basta la capacità di analisi, non sono sufficienti le azioni efficaci. La vera questione è: che tipo di cambiamento sappiamo apportare con il nostro lavoro di comunicazione?
Una delle capacità più importanti per chi si occupa di comunicazione è saper capire la situazione in cui si è immersi. Il noto racconto di David Foster Wallace esprime bene il concetto:
Due giovani pesci nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “Ma cosa diavolo è l’acqua?”.
Riuscire a vedere con distacco e prospettiva le dinamiche in cui si è inseriti, riconoscerne le caratteristiche e le possibili evoluzioni è la base per poter agire in modo efficace.
Sapere “dove mettere le mani”, però, è solo una parte del lavoro. Di fronte ai dati che vengono da un’accurata analisi della realtà, infatti, si possono avere tre atteggiamenti.
Il primo, che potremmo definire utilitaristico, è quello di approfittare della conoscenza dello scenario per poter guadagnare qualcosa in termini di consenso, vantaggi economici, vendite, ecc. Si muovono in questa ottica tutte quelle azioni di comunicazione che, adeguandosi alla situazione così come è, cercano di trarne il più possibile.
È il modo che hanno alcuni social media manager di produrre contenuti solo e soprattutto per inserirsi nella scia di ciò che è nei trend, cercando così di approfittare dei flussi e della visibilità su certi temi, hashtag, avvenimenti. È il modo di fare relazioni con i media cercando di guadagnare un virgolettato o uno spazietto televisivo, pur di farsi sentire sull’argomento del giorno.
Questa modalità, che può dare visibilità immediata e sensazione di riuscire a essere sempre sul pezzo – obiettivo che non è difficile da raggiungere – ha però un difetto: è costretta a seguire qualcosa che hanno deciso altri. Sostanzialmente è riconoscere la corrente e inserirsi in essa, lasciando che sia quest’ultima a scegliere la direzione.
Il secondo atteggiamento nei confronti della realtà è quello della contrapposizione. È la pratica nella quale si sfrutta l’effetto del contrasto: ci si mette in posizione di negazione e di lotta, si rifiutano le cose come stanno, ci si ribella protestando contro il modo di fare degli altri, delle tendenze, di ciò che va per la maggiore. Si fa, in sostanza, il bastian contrario a scatola chiusa.
In questa categoria rientrano diverse tipologie comunicative: dalle polemiche create ad hoc tanto per farsi notare sui media, alle prese di posizione anti-qualcuno o qualcosa pur di riuscire a diventare interlocutori pubblici di quel qualcuno, e così via.
Anche in questo caso si dipende da ciò che altri hanno deciso che sia degno di attenzione. È la stessa ottica in si muove il trolling online: non ha una sua autonomia, vive della possibilità di contrasto a qualcosa.
Da qui il terzo atteggiamento, quello più interessante, che potremmo definire del cambiamento. È quel modo di fare comunicazione che cerca, attraverso contenuti e azioni, di partire sì dalla situazione così come è, ma cerca di aggiungere qualcosa, di portare in essa un valore, fosse anche solo un po’ di allargamento di prospettiva.
È il modo di gestire i social dando davvero qualcosa agli utenti (in termini di contenuti e informazioni), promuovendo vere conversazioni di qualità online, ascoltando i commenti e i feedback, rispondendo e coinvolgendo sul serio gli interlocutori nella comunicazione della propria azienda o istituzione. È quel modo di gestire le relazioni con i media come supporto professionale ai giornalisti, dando valore aggiunto al loro lavoro in termini di circolazione di notizie e informazioni accurate, offerta di voci esperte, proposta di temi rilevanti (ogni azienda ha i suoi).
L’acqua in cui siamo immersi oggi – riprendendo l’immagine di Wallace – è un’acqua fortemente interconnessa e complessa. Capire come sono le correnti e i flussi non permette solo di mettersi in scia o in direzione contraria tanto per incrociare pesci; ci dà anche la possibilità, nuotandoci in un certo modo, di trovare e mostrare possibili rotte alternative e migliori agli altri pesci che incontriamo.
Fuori di metafora, questa terza prospettiva è quella che sa riconoscere un elemento fondamentale: l’inscindibile legame tra realtà e comunicazione, che non possono essere mai disgiunte.
Noi siamo ciò che comunichiamo e ciò che comunichiamo ci rende ciò che siamo.
Comunicazione senza realtà è un’illusione (il mito di poter risolvere tutto con un po’ di comunicazione); realtà senza comunicazione è irrilevanza (senza comunicazione, quindi senza relazioni, non possiamo agire davvero).
Questo ci mette di fronte a una scelta: vogliamo essere professionisti che si adeguano o si oppongono, lasciando ad altri l’onere di scegliere, o vogliamo provare – partendo da dove sono le persone, i loro temi e le loro sfide percepite – ad apportare all’ambiente in cui siamo immersi qualcosa, per produrre un cambiamento?
Da qui la domanda più importante: che tipo di cambiamento? Uno che peggiorerà l’acqua in cui ci muoviamo o uno che la renderà più vivibile e “navigabile”? Alla fine, la domanda sull’efficacia della comunicazione è una domanda sulla qualità della scia che lasciamo nel mare di questo mondo.