I confini: posti scomodi da cui parte la nostra sfida

I confini: posti scomodi da cui parte la nostra sfida

I confini sono posti scomodi. Dividono territori e allo stesso tempo sono il loro punto di contatto. Sono i luoghi in cui le differenze si toccano nella parte più fragile, quella più lontana dal centro di ciò che circoscrivono.

I confini sono il luogo naturale della comunicazione. Perché comunicare è sempre un momento in cui elementi differenti si toccano, parole si intersecano, immagini si compongono, interessi si incrociano. È proprio in quel contatto che si decide se la comunicazione porterà a uno scambio da un lato all’altro o se invece si innalzeranno muri, si scaveranno fossati, si dichiareranno differenze inconciliabili.

La connessione in cui ormai siamo abitualmente e irrimediabilmente immersi ha di fatto portato tutti noi a vivere costantemente sui confini. Non c’è più reale distanza tra le nostre parole, le nostre cerchie, i nostri ambiti, i nostri gruppi. Tutti siamo in un contatto costante, sottoposti a differenze che si toccano.

Non c’è più grande distanza tra addetti alla comunicazione e pubblico. Non c’è più distanza tra istituzioni e cittadini, tra governanti ed elettori, tra competenti e incompetenti, tra sprovveduti e manipolatori. La chiamiamo disintermediazione, ma in realtà è uno stato perenne di vita di confine: si sta lì ognuno vicino all’altro, anche quando non lo si desidera.

Così nascono quegli istinti a ripristinare la distanza, a cercare di tornare al centro, a ricreare territori omogenei dove sentirsi al sicuro lontano dall’eterogeneità, dalla confusione linguistica, dai frintendimenti, dal “disordine” culturale. È per questo che si cercano di costruire barriere, di spegnere i dispositivi, di circondarsi solo di simili, di “bannare” gli intrusi dalle proprie timeline. E alla fine ci si ritrova sempre a tracciare nuovi confini, che a loro volta diventano altrettanti punti di contatto tra nuove differenze. In uno sforzo estenuante e improduttivo.

La verità è che nella società in rete non c’è scampo alla vita di confine. Non c’è più il centro lontano dalle periferie, l’alto distante dal basso, il competente al riparo dall’ignoranza, l’informazione corretta senza la minaccia della sua manipolazione.

E questa è una grande notizia. Perché se c’è un luogo dove ciascuno può davvero capire se stesso è proprio laddove non può evitare che l’altro gli proietti addosso la sua differenza. Tutto sta a decidere se quella vicinanza si trasformerà in assunzione del rischio per tracciare nuove forme di vita nella differenza o se ci si accontenterà della certezza dell’esclusione, per mantenere ciascuno quel poco che ha all’interno del perimetro sempre più ridotto della sua prospettiva.

La sfida della comunicazione oggi è questa: sapranno i comunicatori professionisti reggere al collaudo del pubblico attivo e autonomo? Sapranno le istituzioni reggere alla pressione dei cittadini sfiduciati? I competenti supereranno la prova dell’ingnoranza ostentata? La forma che daremo alle nostre relazioni saprà reggere una società in cui le distanze non ci tengono più al riparo dall’altro? È vita di confine quella che ci aspetta.

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