Cambiare: cosa significa nella comunicazione – e non? In questa semplice parola, che spesso e volentieri usiamo conferendole meno importanza rispetto al grande significato che si porta dentro, è racchiuso un forte e denso “potere”. Quello della scelta. Ogni persona è libera, infatti, di poter prendere la propria vita, il proprio lavoro e le proprie relazioni umane e, grazie al magnifico quanto unico dono del potere, di cambiarli secondo il suo volere.
Proprio di cambiamento si è parlato quest’anno ad InspiringPR, attraverso 12 spunti di riflessione nati dall’incontro con quelli che sono stati i protagonisti che si sono susseguiti sul palco azzurro: Francesca Folda, Angelo Petrosillo, Julija Stevanovic, Alessandro Marchetti, Fabio Cappellozza, Fabio Ventoruzzo, Alessandro Rimassa, Filippo Scorza, Piero Dominici, Lorenzo Bassotti, Alessandro Cederle e Alessandra Perotti. Vogliamo raccogliere i loro insegnamenti in questo diario di bordo: venite con noi?
La prima speaker che ci ha parlato di cambiamento ci ha posti di fronte a una domanda semplice, che siamo certi prima o poi abbia sfiorato i pensieri di tutti: “Avete mai pensato di lasciare tutto per andarvene dalla quotidianità?”. Di solito le risposte vacillano nell’incertezza. Francesca Folda invece, con una gran dose di coraggio, l’ha fatto.
È nel 2015 che Francesca decide di rivoluzionare la sua vita e lasciare tutte le sue certezze per dirigersi verso qualcosa di completamente ignoto. Prima tappa: Nuova Zelanda. Da qui inizia un’incredibile avventura, durante la quale si fa guidare da una mappa inconsueta, fatta di valori, empatia e linguaggio, i tre ingredienti che non possono mai mancare quando ci si relaziona con il mondo, soprattutto con uno diverso dal nostro. Nel suo viaggio seguono poi altrettante formidabili tappe: Cambogia, Vietnam, il Sud degli Stati Uniti e infine il Kenya.
Proprio in quest’ultimo Paese Francesca capisce che se vuole davvero cambiare il proprio punto di vista, quello è il posto giusto da cui partire. Nei due anni in cui rimane in Kenya, per studiare Social Innovation Management all’Amani Institute, Francesca impara e cambia, molto. Tre sono i concetti che si porta nel cuore: la perfezione, cui bisogna saper rinunciare per riuscire a tenere il ritmo del mondo; il tempo, poiché non si può aspettare di essere perfettamente preparati per accogliere un’opportunità, ma bisogna essere costantemente pronti, curiosi e flessibili; l’ascolto, immancabile, sempre, perché si può imparare solo da chi ha ci offre esperienze diverse dalla nostra, punti di vista nuovi e storie differenti da quelle cui siamo soliti prestare attenzione.
Non puntare ad essere preparato al cambiamento perché il tempo corre e il mondo è troppo complesso, piuttosto punta ad essere pronto per il cambiamento: solo così potrai esserne protagonista!
Il suggerimento di Francesca è quello di cogliere il paradigma del cambiamento anche all’interno di qualcosa di più profondo di quello che siamo: una chiave di lettura che ci dà Angelo Petrosillo, secondo speaker a calcare il palco della Scuola Grande.
Per Angelo il miglioramento continuo e la spinta al cambiamento sono dati dalla carica rivoluzionaria che vive dentro ognuno di noi. Tutte le scoperte scientifiche avvenute e che avverranno sono e saranno legate infatti da una spinta individuale, che non troviamo dentro ai governi o alle leggi, non dentro allo Stato o alla burocrazia, ma che arde nelle persone. E lo stesso cambiamento va quindi interpretato come un progetto sociale, un compromesso tra quella che è la forza individuale dei singoli e la loro propensione alla trasformazione, frenata solo dalla paura dell’alibi. Questo timore si manifesta ogni volta che cerchiamo una scusa per qualsiasi cosa non vada bene, ogni volta che ci lasciamo guidare dalla logica del like, o ci sentiamo obbligati a dimostrare subito se qualcosa piace o meno. L’insieme di tutti questi elementi rende il nostro mondo più rapido, meno personale, meno vivo, meno reale. Non solo: la repentinità allontana anche i pensieri “lunghi”, quelle idee che si depositano nella mente e che permettono concretamente di progettare e di guardare al futuro. E ci ha fatto dimenticare che è nella contaminazione tra uomo e uomo che risiede la vera forza del progresso.
Perché ogni volta che un uomo incontra un altro uomo si cambia un po’!
Ed è questo cambiamento, questo dialogo con l’altro che nasconde l’energia per fare del mondo “una brillante Atene e non una triste Sparta”.
Restando in tema di rivoluzioni, la “rivoluzione social(e)” che stiamo vivendo ci porta a riflettere su un’altra tipologia di cambiamento, quello vissuto dalla comunicazione, raccontatoci da Julija Stevanovic.
Il fenomeno che Julija ci ha presentato è quello dei meme, contenuti grafici semplici e molto spesso di bassa qualità che veicolano però dei messaggi di grande significato e che, di fatto, hanno cambiato il modo di comunicare non solo delle persone ma anche delle stesse aziende. Sono molti infatti i vantaggi che derivano dal loro uso. In primo luogo, i meme sono quanto di più “democratico” si possa trovare nel mondo del web: chiunque può crearli e, una volta nati, spetta agli altri utenti la partecipazione nel processo comunicativo per diffonderli e dar vita a nuovi. La loro capacità di evoluzione è per questo grandiosa e rapidissima. Sono il risultato di come si possa comunicare un’esperienza e, se ben gestiti, possono essere utilizzati anche per promuovere un brand. Inoltre, i meme godono di una viralità maggiore rispetto ad altri tipi di contenuti più elaborati, perché è proprio l’estremizzazione delle situazioni vere tramite umorismo ed ironia che li rende efficaci. In un certo senso sono anche low cost: basta avere un’intuizione geniale per produrli, non serve una struttura comunicativa alle spalle o investire del capitale.
Esistono anche dei casi in cui i meme si sono rivelati delle minacce per chi ne è diventato suo malgrado oggetto, pur non essendo un personaggio pubblico. È quanto è successo a “Hide the Pain” Harold, ingegnere ungherese in pensione trasformato a sua insaputa in un meme per il suo sorriso, non proprio gioioso. Il passo dalla quotidianità alla fama per Harold è stato breve, il suo cambiamento? Governare il processo di comunicazione invece che subirlo: una volta scoperto di essere diventato un meme, infatti, Harold decide di essere parte attiva di questo tipo di comunicazione creando una sua pagina personale nella quale lui stesso caricava contenuti divertenti che lo ritraevano. A conferma del fatto che “Quando non puoi cambiare qualcosa, sfruttala al massimo“.