di Martina Parisi
Che cosa si intende per competenze trasversali? E quanto esse sono importanti per il dialogo in chiave digital? Lo abbiamo chiesto a Giovanna Tinunin, specializzata in Counseling per lo sviluppo organizzativo e la comunicazione efficace. Per DOF Consulting segue l’area comunicazione e social ed è la referente del progetto Emotional Media®. È, inoltre, tra i fondatori di #TriesteSocial, un progetto di valorizzazione della città di Trieste.
Iniziamo con una domanda (quasi) obbligatoria: che cos’è l’ispirazione per te?
Credo che questa sia una delle domande più difficili a cui io abbia risposto nella mia vita. Chiedersi cos’è l’ispirazione mi riporta ad un’altra domanda fondamentale che è quella “cos’è importante per te?”: penso che sia legata non solo a quelli che sono gli interessi, i gusti ed i valori di una persona ma anche a quello che trova rilevante nel mondo che la circonda, ovvero da cosa lascio colpire ed attirare la mia attenzione.
Per me l’ispirazione è, quindi, qualcosa che attiva dei processi di confronto e mi fa pensare che mondi completamente distanti possano avere un punto di contatto che è ciò da cui nasce, secondo me, non solo la creatività ma anche il dialogo. Questo mio pensiero legato al fatto che dimensioni lontane possano trovare un punto di incontro lo ricollego alle “note che stonano”, cioè ciò che noto perché è diverso da quello che mi aspetto dal contesto in cui mi trovo. Ma non è semplicemente quello che si fa notare: possono essere cose molto piccole che mi piace definire come delle vibrazioni. È un po’ come quando guardando un quadro o una fotografia mi accorgo che c’è qualcosa che disturba (non necessariamente in senso negativo) e fa attivare dentro di me la domanda sul perché sto notando questa cosa.
L’ispirazione è qualcosa in grado di farti uscire dalla tua zona di comfort; non è un momento di illuminazione ma, piuttosto, penso che sia un innesco in grado di farci fare un percorso dal quale si esce con una consapevolezza diversa, come quando si gioca con un videogame e alla fine bisogna salire di livello perché non si ha altra scelta.
Guardando direttamente a quella che è la tua professione, secondo te in cosa il dialogo può essere inserito tra le competenze trasversali di un individuo?
Quando parliamo di competenze trasversali tendiamo a dimenticare che esse sono sempre collegate alle persone; questo può sembrare una banalità ma, in realtà, il fatto di considerare una competenza sociale (la capacità che noi abbiamo di stare in mezzo ad un gruppo, di interagire con gli altri per motivi di lavoro ma anche con un gruppo di parenti ed amici, ndr) strettamente collegata a noi non è un saper fare ma un saper essere. Quindi, una competenza trasversale è fortemente radicata in quello che una persona è.
Quando, però, ci relazioniamo con gli altri, a causa di questo radicamento ed identificazione così forti, tendiamo a dimenticarci che anche per gli altri è la stessa cosa: ci capita di pensare, per esempio, che la nostra capacità sociale e le nostre competenze trasversali siano più sviluppate, migliori e più efficaci di quelle degli altri. Di conseguenza perdiamo di vista il fatto che non esiste una gerarchia delle competenze: esse hanno, infatti, per loro natura un senso ed un’utilità solo nel momento in cui vengono applicate ad un contesto e se ciò accade vuol dire che si ha bisogno di fare qualcosa o si ha semplicemente un obiettivo di qualunque tipo (professionale o personale) da raggiungere. Ragionando in questa maniera si capisce che la competenza è al servizio di quest’obiettivo: se si è consapevoli di cosa si è, di cosa si sa fare e di come si sanno mettere in pratica le proprie abilità, si è, anche, in grado di modularle rispetto a quello che si vuole ottenere. Questo, però, porta con sé un altro problema che secondo me è strettamente collegato al tema del dialogo: se immagino che le mie competenze siano migliori di quelle di un’altra persona perdo di vista il rispetto per l’altro.
Per questo motivo, secondo me il dialogo applicato al tema delle competenze è lo spazio di comunicazione che si viene a creare quando io rispetto le altre persone e riconosco che non c’è una gerarchia nelle competenze perché sono consapevole che ciascuno di noi riesce a fare più o meno bene qualcosa a seconda del momento della vita in cui si trova. Io credo che il dialogo sia questo: nasce dal rispetto e dal pensare che ogni essere umano ha la sua eccellenza.
Quanta importanza ha il dialogo nella tua vita professionale?
Assolutamente tanta! E soprattutto perché ho vissuto diverse vite professionali. Mi spiego meglio: per anni mi sono occupata di organizzazione di eventi culturali ma, ad un certo punto, ho un po’ cambiato strada cominciando ad occuparmi di counseling. Il counseling è un approccio alla relazione che parte proprio dalla convinzione che, per esempio, l’altra persona vada accettata e non giudicata, ma che, quindi, venga considerata di valore per quello che ha da offrire. In questo senso il dialogo applicato al counseling è, se vogliamo, una delle chiavi di volta ed assume altre vesti quali l’empatia o l’accettazione incondizionata: è proprio alla base di una professione come la mia – in cui le applicazioni sono di tanti tipi (formativo, consulenziale, comunicativo) – che c’è sempre quest’idea della possibilità di creare un ponte di comunicazione e di relazione tra le persone. Il dialogo per me è un’occasione di apertura e di crescita: è, quindi, un tema legato alle risorse interne ma anche al rispetto di chi ti trovi di fronte.
Sei tra i fondatori di #TriesteSocial, il progetto di valorizzazione territoriale e storytelling del capoluogo del FVG: secondo te, come può una città come Trieste sfruttare il “dialogo 2.0” e considerarlo come punto di forza ed una grande opportunità?