Nell’era della sovraesposizione mediatica molte sono le parole che ci colpiscono ed altrettante le persone capaci solo a sentire, nell’accezione più stretta del termine.
Raro invece chi è in grado di ascoltare, poiché per fare ciò è richiesto un impegno concreto, la volontà di interessarci a chi abbiamo di fronte, l’impiego di ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro tempo.
Con le parole ci puoi giocare, riuscire a far ridere anche la morte, ma bisogna stare attenti a come le si usa. Si può far sognare ma si può al contempo far male in modo irreparabile. Possono salvarci ma anche metterci in pericolo, per questo dobbiamo scegliere attentamente a chi rivolgerle e in che modo.
Con esse e la loro migliore amica, la fantasia, puoi far vivere a chi ti sta attorno avventure e racconti incredibili.
Pensa, sono le uniche che possiedono la capacità di farci stabilire una connessione con chi ci sta ascoltando, di fare una sorta di magia attraverso la quale hanno il potere di mettere il nostro interlocutore in contatto con la parte più intima di noi stessi: con quello che pensiamo, con la nostra anima, concedendo a chi ascolta il privilegio di essere parte di questo incanto, di penetrare a fondo in noi stessi.
Ma quando facciamo omaggio di questa magia alle persone non interessate sminuiamo il valore della stessa. Prediligere il silenzio è dunque in alcuni casi assai preferibile perchè le parole, se nessuno è disposto ad ascoltarle, sono inutili. Servono solo ad alimentare il rumore.
E’ per questo che dovremmo (re)-imparare ad ascoltare, per ripristinare la capacità di stabilire connessioni, per tornare a sentire, nel senso più ampio del termine questa volta, il suono del mondo e non il frastornante rumore del vortice delle parole.